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Il futuro sta nella comunità - intervista al dott. Accattoli

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pubblicato mercoledì 11 gennaio 2012



Ci voleva, a questo punto del cammino del Convegno, l'intervento del giornalista Luigi Accattoli. 68 anni, sposato, padre di cinque figli, originario di Recanati ma da tanti anni residente a Roma, giornalista in pensione (è stato vaticanista di Repubblica e Corriere), autore di tanti libri e di un blog, Accattoli gira l'Italia (questo era il suo 66º intervento nel 2011...) per raccontare quanto il bene, nonostante tutto, sia diffuso e praticato.

«Parto dalla certezza che il Signore Dio non sia pentito della creazione dell'umanità e non abbandona la sua Chiesa. E poi cerco di leggere e interpretare i segni - spiega il giornalista all'Azione -. Prendiamo la diminuzione del numero dei praticanti. Se la consideriamo come indice univoco, allora non potremo interpretare ragionevolmente altre fasi della vita della Chiesa in cui i cristiani erano molto pochi, eppure da essi sono fiorite comunità molto vaste. Bisogna cercare il fuoco tra la cenere. Abbiamo testimonianze di martirio, santità, accettazione della sofferenza, della vecchiaia e della morte, in quest'epoca come nelle altre».

Quale realtà di Chiesa incontra nel suo continuo viaggiare per l'Italia?

«Dal punto di vista della tenuta complessiva, delle cifre sulla pratica religiosa, sulla frequenza alla messa festiva, sulla presenza dei giovani, eccetera, si registra un grande calo. Sarebbe sciocco negarlo. Ma nel contempo si registra una vivacità della fede e anche una sua creatività in risposta ai bisogni nuovi dell'umanità. Dobbiamo guardare alla realtà della Chiesa tenendo presente ambedue questi registri: la crisi di consenso sociale pubblico e la novità, freschezza e giovinezza della fede che risponde in modo creativo alle esigenze dell'epoca».

C'è un campo in cui tale freschezza si manifesta in modo più significativo?

«La pastorale della famiglia &e grave; il settore più serenamente promettente. Indubbiamente c'è una crisi di tenuta delle famiglie, molte si sfasciano, ma nel contempo ci sono belle famiglie che si aprono all'accoglienza, alle adozioni difficili, alla cura dei figli disabili. Un altro segno importante e positivo lo colgo nella capacità delle famiglie di farsi portatrici di perdono di fronte a vicende di violenza. Un terzo segno di vivacità sta nel fatto che si moltiplicano lo coppie missionarie: diminuiscono i missionari consacrati e aumentano i missionari che vivono nel matrimonio.

Sono tre fatti storicamente nuovi».

Tra i gruppi di lavoro del nostro Convegno, particolare interesse sta destando l'ambito della cura delle relazioni. Come lo spiega?

«L'umanità oggi, qui da noi, è segnata da una alienazione delle relazioni umane appiattite sulla cifra del benessere, del tornaconto, del denaro. Ebbene, i cristiani dovrebbero dare un fuoco, un incendio, perché per il cristiano non è prioritario il rapporto economico e la prestazione, ma la relazione piena tra le persone. L'umanità soffre per le relazioni disumanizzate e quindi una vita gioiosa, conviviale, fraterna è un segno facilmente percepibile. Sollecito sempre a puntare su relazioni conviviali, oltre che fraterne. Una proposta cristiana viva e calda nelle relazioni fraterne e conviviali ha un grande potere di "attrazione". La missionarietà passa di qua».

Altro tema del Convegno, le fatiche dell'educare. Anche la Chiesa italiana l'ha posto al centro delle proprie attenzioni.

«Oggi c'è una sorta di abbandono della frontiera educativa che è tipico delle società del grande benessere. C'è una visione falsa dell'esistenza, basata sul principio della festa, del gioco, della facilitazione di ogni apprendimento, come se con le pedagogie e le tecniche si po ssano risolvere tutti i problemi e si possa far crescere un'umanità migliore. Uno dei compiti dei credenti è di mostrare una cura educativa che responsabilizzi, che insegni la serietà, e anche la drammaticità, dell'esistenza. Il rapporto educativo deve comportare assunzione di responsabilità, non solo da parte dei genitori verso i figli, ma dei più anziani in genere verso i più giovani».

Ritorniamo alle famiglie. Cosa fare per aiutarle in questa fase di generale smarrimento di valori?

«Le famiglie si supportano inserendole in un tessuto comunitario. La tendenza dell'epoca è a progettare la propria autonomia: c'è il supermercato che risponde a tutte le esigenze, le assicurazioni che proteggono da ogni incidente... Non c'è spinta alla socializzazione. Volendo rimediare alle conseguenze negative di questa privatizzazione del vivere, la comunità cristiana dovrebbe puntare sull'inserimento in rete comunitaria delle famiglie. Questo la Chiesa lo fa da sempre, pensiamo agli scout e all'Azione cattolica. Si tratta di insistere senza farsi prendere dallo sconforto. Siamo in una stagione di crisi delle vocazioni educative, ma la via di soluzione non può che essere di tenere vivo il tessuto comunitario».

Federico Citron

 

 

(da L'Azione, n. 1 dell'8/1/2012)






 
 
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