Centro Missionario Diocesano
 

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L'Albania come la vedo io

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pubblicato martedì 3 dicembre 2013



È frequente che Suor Ester Gobbo, delle Suore Dorotee della Frassinetti, ci telefoni al centro missionario per un saluto e con l’occasione ci racconta le sue avventure e le sue fatiche di Missionaria in Albania. Pochi giorni fa ci ha scritto una lettera che ci parla di lei. Buona lettura.

 

Scutari, 20 novembre 2013

Quando stavo terminando il mandato di Coordinatrice Provinciale nella mia Congregazione, ho fatto un consuntivo delle esperienze che il Signore mi aveva offerto e ho concluso che per la Provincia Italiana era arrivata l’ora di scuotere la polvere e portare il seme del Vangelo verso nuovi orizzonti. Riflettendo sulle scelte fatte dalle nostre provincie di Spagna e Portogallo (le loro missioni sono tutte nelle ex colonie), ho concluso che anche per l’Italia ci poteva essere una simile strada: ma pensavo al Corno d’Africa o alla Libia.

Fu nel primo Convegno Nazionale della Scuola Cattolica (1992) che la mia attenzione si è rivolta altrove. In Albania era caduto da poco il regime di Enver Hoxha e si erano aperte le frontiere. Vi era già un Nunzio Apostolico e varie Congregazioni religiose sia maschili che femminili, tra cui la Compagnia di Gesù a cui era stato chiesto di riprendere in mano il seminario e stavano alla ricerca di insegnanti. Un breve colloquio con il loro Padre Provinciale presente al convegno mi ha subito conquistato.

Arrivando in terra albanese nel febbraio 1993 ho trovato quello che, a prima vista, sembrava un paese devastato dal passaggio dei Lanzichenecchi. Col passare del tempo l’impressione non solo non è migliorata, ma è addirittura peggiorata: Il regime aveva piegato tutta la fierezza di questo popolo e la vista del degrado sociale e umano in cui era caduto mi ha profondamente commosso e motivato a lavorare con e per loro. Il pensiero che più mi martellava era quello di risvegliare nelle nuove generazioni la dignità, l’orgoglio, il coraggio per affrontare gli infiniti problemi che li attendevano, cominciando col fare autocritica sul proprio passato.

Tutte le loro lamentele mi testimoniavano di una lunghissima stagione di assoluto oscurantismo, dove il reato più grave non era, tutto sommato, avere una FEDE nel trascendente, ma la pretesa di pensare e decidere con la propria testa anche nelle cose che noi diremmo “private”. A  tutto pensava il regime, convinto di fare il meglio per il popolo, (o almeno così predicava) e qualsiasi dubbio o suggerimento divergente poteva mandarti ai lavori forzati o alla tortura. L’aspetto più grave è stato che tutto questo venne accettato , nella maggioranza, non solo passivamente ma addirittura con convinzione. Sovvertitori eccezionali sono stati i martiri delle varie fedi religiose.

Rotti gli argini che inibivano le giuste esigenze umane, gli albanesi hanno dato sfogo alla rabbia e a tutti gli istinti,( in particolare quello del possedere), fino allora repressi. Rubare era l’unico modo per possedere: rubare e nascondere tutto ciò che desse la speranza (o l’illusione) di avere un qualche valore. E per rubare si distruggeva ogni cosa, proprio come nell’assalto al forno delle grucce di manzoniana memoria. In questa situazione era pericoloso anche portare qualche cosa da distribuire.

Un anno dopo, nel 1944, ritornavo in Italia lasciando al mio posto Suor Marisa (mia sorella).

Dopo la sua morte ho ripreso il mio posto, ma in una situazione totalmente cambiata: ora posso parcheggiare la macchina per la strada con la stessa disinvoltura con cui lo farei in Italia, e le strade e i collegamenti, soprattutto in pianura, sono migliorati al 70%. Purtroppo non altrettanto nelle zone di montagna. Anche la corrente elettrica è quasi costante e si possono comodamente usare le apparecchiature elettroniche.

Purtroppo la debolezza del governo, sostenuta da una politica molto simile a quella d’oltremare, rallenta il passo di tutta la nazione.

Far capire tutto questo alle nuove generazioni, comporre i dissidi, superare le diffidenze ( e quante), aprire gli animi alla speranza, far fiorire la solidarietà, illuminare una fede opaca, stimolare perché nascano progetti di vita validi, che salvino quel tanto della tradizione che vale la pena salvare e siano aperti in maniera critica al mondo modertno a cui si sono affacciati e già sono rimasti ammaliati... ...questo e altro ancora è l’obiettivo del mio essere a Scutari, la così detta Capitale del nord.

Sono qui con due suore Albanesi che ancora studiano, e sei giovani ospiti, anch’esse studenti. Provengono per lo più da famiglie povere, o molto povere, della montagna (Gjegjani) o della campagna (Vau Dejes) dove lavorano le altre nostra suore e dove vado a dare una mano quando posso. Sono ragazze impegnate da cui speriamo di raccogliere buoni frutti e la soddisfazione di non aver seminato invano. Così è stato già per le prime  che abbiamo accolto e accompagnato per vari anni.

 

suor Ester Gobbo,
delle Suore Dorotee
della Frassinetti




 
 
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