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Difficoltà e speranze dei cristiani in Cina

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pubblicato martedì 13 novembre 2007


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Il testo dell'intervento tenuto da padre Angelo Lazzarotto a Pieve di Soligo, il 30 ottobre 2007.

Nell'archivio a disposizione per il download, oltre a questo stesso documento sono inserite anche la relazione tenuta a Vittorio Veneto il 6 novembre, e la lettera di papa Benedetto XVI alla Chiesa della Repubblica Popolare Cinese.

Altri testi di padre Angelo sono raggiungibili da questa pagina.



Difficoltà e speranze dei cristiani in Cina


padre Angelo Lazzarotto
padre Angelo Lazzarotto

Si è concluso 15 giorni fa il 17° Congresso del Partito Comunista Cinese, che da più di mezzo secolo domina incontrastato nella Cina, il cui nome ufficiale è Repubblica Popolare Cinese. Quell'aggettivo "popolare" non è messo lì a caso, ma corrisponde alla scelta fatta da Mao Zedong il 1 ottobre del 1949, quando proclamava la vittoria dell'Armata Rossa sull'esercito nazionalista guidato da Ciang Kai-shek alla conclusione di una drammatica guerra civile. Vorrebbe dire che in quel Paese comanda il "popolo"!

Si tratta del più popoloso Paese del mondo, con 1300 milioni di abitanti. Nel preambolo dell'attuale Costituzione Cinese (che è stata approvata nel 1982, 5 anni dopo la morte di Mao), si ripete ancora che la Cina si basa su 4 principi fondamentali, intangibili, sui quali non è permesso nemmeno discutere: Sistema socialista, ideologia marxista, monopolio politico al Partito Comunista, dittatura del proletariato. In Cina si usa lo stesso nostro vocabolario politico, si parla cioè di democrazia, di elezioni, ecc.: ma questa parole hanno tutto un altro significato. Per esempio, si fanno elezioni a tutti i livelli, ma si vota soltanto su candidati scelti dall'alto, dalla competente struttura del partito. In Cina esistono ufficialmente, come da noi, anche altri partiti politici; ma sono lì solo per fare corona al partito guida, non possono fare opposizione, possono solo dare "consigli" a chi ha il potere assoluto.

Questa Nuova Cina di Mao nacque sul modello dell'Unione Sovietica, cioè sulla scia della Rivoluzione di Ottobre dei 1919, ed era vista come una tappa verso la conquista del mondo al socialismo. Ma poi nell'Unione Sovietica, con la caduta del Muro di Berlino, si è verificato un cambiamento radicale. In Cina invece non si vede oggi alcun segno di collasso di quel sistema politico: la RPC rimane il più grande Paese dove il potere è ancora in mano al comunismo reale.

Eppure, anche la Cina sta lentamente cambiando, tanto che oggi si presenta come una mescolanza, un ibrido di ideologia marxista e del capitalismo più sfrenato. Questo cambiamento ebbe inizio dopo la morte di Mao Zedong, quando il successore Deng Xiaoping decise di aprire la Cina al mondo, adottando l'economia di mercato e incoraggiando la iniziativa privata. È cominciata così una crescita economica senza precedenti, che sta facendo della Cina una delle maggiori potenze del mondo. Una Cina che ci sorprende per le sue potenzialità e le sue contraddizioni.


Il Congresso del Popolo (Parlamento cinese), nella sessione primaverile svoltasi a Pechino in marzo 2007, ha dichiarato che la Nuova Cina è decisa a voltare pagina su molte questioni, che al tempo del "grande timoniere" Mao Zedong erano considerate intoccabili. Così il diritto di proprietà privata, che il Parlamento cinese aveva approvato in linea di principio con un emendamento alla Costituzione del Paese già nel 2004, e che dopo lungo dibattito ha trovato quest'anno anche applicazione legislativa. Questo era divenuto possibile dopo che, nel precedente (16°) Congresso del Partito Comunista Cinese, in ottobre 2002, si era avuta un'altra svolta epocale, con una modifica dello statuto del Partito stesso. L'allora segretario generale Jiang Zemin, proponendo una sua teoria detta delle "tre rappresentanze", aveva aperto le porte del Partito anche "alle forze produttive più avanzate" nel Paese, cioè i capitalisti. Entravano così nel Partito Comunista Cinese (che era nato come espressione dei proletari, dei contadini e degli operai) i primi rappresentanti del capitalismo imprenditoriale. Il 17° Congresso del PCC appena concluso, ha confermato queste aperture, senza riuscire a risolvere le contraddizioni e i problemi che travagliano il Paese. Sono problemi che appaiono insolubili, come la dilagante corruzione e il divario fra i nuovi ricchi delle zone industrialmente sviluppate e le masse di contadini che vivono nelle province più interne e prive di risorse adeguate.

Inoltre, c'è bisogno di un profondo aggiornamento per adeguare il vecchio sistema legale comunista all'irrompere dell'economia di mercato. È l'intero impianto legislativo cinese che ha bisogno di essere riscritto. Ci sono stati dei momenti positivi in questo senso, come l'adesione della Cina all'Organismo Mondiale per il Commercio; e positiva è anche la grande mobilitazione in vista dei Giochi Olimpici dell'estate 2008. Ma il colosso rimane sostanzialmente lo stesso. In mezzo a tutte queste contraddizioni, tuttavia, si nota il sorgere di una nuova classe media nella società cinese, che reclama sempre nuove aperture e libertà, ed è quindi di stimolo al rinnovamento. Si tratta di una trasformazione molto lenta, che richiede tempi lunghi e non è priva di rischi.

L'attuale presidente della Repubblica e segretario generale del Partito Hu Jintao, sostenuto dal premier Wen Jiabao, si è proposto l'ambizioso impegno di costruire in Cina una "società socialista armoniosa". Ma molti osservatori sono scettici, e temono che questo finisca per rimanere un miraggio irraggiungibile, viste le contraddizioni proprie del sistema politico. Risulta infatti oggettivamente difficile far quadrare costi e benefici di una crescita economica che sembra inarrestabile e di cui riescono ad approfittare specialmente quelli che sono già ricchi. È un Paese che cammina ancora a due velocità, come lamentava il giovane regista Jia Zhang-Ke, che ha vinto il prestigioso Leone d'oro nell'ultima Mostra di Venezia, ma ha avuto serie difficoltà in patria, per il suo film Still Life, che presenta un dramma umano nel contesto del gigantesco progetto della diga delle Tre Gole, sul Fiume Azzurro.


Ed è in questo Paese dal doppio volto che vive anche la comunità cristiana, fra speranze e timori. Quali timori e quali speranze? È il tema che mi è stato chiesto di sviluppare in questa conversazione. Anzitutto: quali timori?

I timori dei cristiani vengono dal ricordo ancora bruciante di tante sofferenze e vere persecuzioni subite a partire da metà del secolo scorso. Mao Zedong, una volta preso il potere, espulse tutti i missionari stranieri e impose un ferreo controllo sulle religioni. Finirono così in carcere numerosi vescovi, sacerdoti, religiose e semplici laici cattolici cinesi. Nei numerosi viaggi che ho avuto la fortuna di fare in Cina negli anni scorsi (sono appena tornato dalla Cina 20 giorni fa, ed era la seconda visita quest'anno); in questi viaggi, dicevo, mi capita spesso di sentire l'eco, anche se molto discreto e sommesso, di questi drammi del passato. Se vi piace leggere, vi consiglio di procurarvi un libro delle edizioni San Paolo, che raccoglie testimonianze autobiografiche, intitolato: "Il libro rosso dei martiri cinesi"; è uscito l' anno scorso. Io considero una vera grazia l'aver potuto incontrare vari di questi testimoni del Vangelo. Ricordo fra gli altri Wang Xiaoling, una donna "sopravvissuta nei gulag della Cina". Dopo che ebbe finito di scontare la sua pena ai lavori forzati, Xiaoling, che aveva parenti all'estero, poté emigrare in America, e scrisse la sua drammatica esperienza. Abbiamo potuto invitarla anche in Italia una decina di anni fa, perché avevamo tradotto il suo libro (il titolo è L'allodola e il drago, ediz. Piemme, 1993, pp. 252). Ho saputo che è morta poco tempo fa. Le sue sono pagine di lacrime e di luce. Mentre studiava in una scuola cattolica di Shanghai, Xiaoling aveva chiesto e ricevuto il battesimo; appena giovinetta. Era il 1950. Impegnata attivamente nell'apostolato con la Legione di Maria, essa ricorda con emozione una Messa cui partecipò con una folla di studenti cattolici, alla fine del '51. Era in suffragio del padre Zhang Boda, un gesuita, rettore del collegio S. Ignazio, morto in carcere pochi mesi dopo il suo arresto. Nonostante le minacce della polizia, quei giovani avevano voluto che per lui la Messa fosse celebrata con i paramenti rossi, dei martiri. Nel 1955, anche lei fu arrestata con il vescovo, vari sacerdoti e laici, membri della Legione di Maria. Aveva allora 19 anni. Fu rilasciata dopo un anno passato di carcere. Ma qualche tempo dopo, nel '59, venne di nuovo arrestata per il suo impegno apostolico, e spese così 20 anni in varie prigioni e campi di lavoro forzato nel nord della Cina. Tutta una giovinezza! Durante quei lunghi anni, per lei come per migliaia di fedeli incarcerati, la possibilità di ricevere l'Eucaristia era una eccezione rarissima. Ma Xiaoling ricorda che, in mancanza dell'Eucaristia, aveva imparato a incontrare Gesù nel mistero della Croce, che è come il volto segreto di Gesù. Egli infatti ci ha donato il sacramento del suo corpo e del suo sangue proprio in quella notte in cui, come dice il Vangelo, "avendo amato i suoi li amò fino alla fine".


È grazie a questi testimoni del Vangelo, veri "martiri del secolo 20°", come li chiamava Giovanni Paolo II; che vediamo fiorire una messe abbondante anche in paesi come la Cina e il Vietnam, dove un lungo gelido inverno aveva cancellato ogni segno di vita. I 12-13 milioni di cattolici che esistono oggi in Cina sono un autentico miracolo (nel 1949 erano meno di 4 milioni, e furono quasi interamente sterminati dalla furia comunista!). Oggi, se la Chiesa in Cina sta rinascendo e non manca di vitalità, è perché si realizza il detto di Gesù: "Se il chicco di grano caduto in terra marcisce e muore, porta molto frutto" (Gv. 12,24). È qui la radice della speranza dei cristiani in Cina: il fermento evangelico ha dimostrato ancora una volta di essere un fermento di vita.

Il Vescovo ausiliare di Hong Kong, mons. John Tong, in una recente pubblicazione intitolata Challenges and Hopes (Sfide e Speranze) racconta una serie di episodi da lui conosciuti personalmente, che hanno la semplicità naïf dei Fioretti, e che confermano questa fiducia. Un sacerdote che passò molti anni in carcere aveva un compagno di sventura che, accusato di essere una spia del partito nazionalista, doveva portare giorno e notte una catena di ferro alla caviglia, ed era sottoposto ad estenuanti interrogatori. L'avrebbe voluto aiutare, ma come alleviare tante sofferenze? Ricordando le parole di Pietro "Non ho né oro né argento…"(At. 3, 16), si fece coraggio e gli disse un giorno: "Tu soffri tanto e io non posso diminuire la tua pena. Ma so che Gesù Cristo ti può aiutare". Gli parlò del sacrificio di Gesù offerto per amore dell'umanità e gli insegnò a fare il segno della croce. Il mattino dopo lo osservò fare lentamente il segno della croce e in silenzio si unì a lui, pregando che il Signore rafforzasse la sua fede. Un po' alla volta quell'amico divenne più sereno e una sera gli disse: "Gesù Cristo è veramente meraviglioso! Ha cambiato davvero la mia sofferenza in gioia!"

Un anziano professore cristiano della provincia Fujian fu condannato già nei primi anni del regime ai lavori forzati come "elemento di destra". Durante la Rivoluzione Culturale, fu poi torturato dalle Guardie Rosse per le sue idee politiche e religiose. Liberato alla fine degli anni '70, egli poté ritornare all'insegnamento e, data la sua alta professionalità, si trovò a capo della commissione per gli esami di inglese (detti "Toefl"), che sceglie i candidati da ammettere alle università americane. Molti funzionari cercavano di raccomandare i propri figli. Un giorno, affacciandosi alla porta dell'aula per chiamare gli studenti, notò che tra i parenti che avevano accompagnato i figli c'erano anche alcuni dei suoi torturatori. Si riconobbero quando i loro occhi si incontrarono. Il professore racconta che subito gli balenò l'idea che avrebbe potuto facilmente vendicarsi. Ma poi ricordò le parole di Gesù sul perdono, e decise di riviverle. Quegli studenti furono promossi. La sera, i genitori vollero andarlo a trovare a casa per ringraziarlo e gli chiesero come aveva potuto essere così imparziale. Divennero amici e qualche tempo dopo alcuni di loro divennero catecumeni e chiesero il battesimo.

Una sera a Pechino, mi capitò di invitare, per un incontro con il gruppo di amici italiani che accompagnavo, un professore cinese che avevo aiutato a venire a studiare a Milano. Rientrato in Cina, egli aveva fatto carriera entrando nell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali e divenendo un esponente di spicco nell'Istituto sulle Grandi Religioni. Non è cristiano, anzi i suoi genitori erano dei "gerarchi" comunisti, benemeriti del Partito. Durante una conversazione informale, dopo cena, uno degli italiani gli chiese come mai si interessava di religione. Ed egli raccontò che negli anni del grande terrore, durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale (1966-76) che provocò centinaia di migliaia di morti anche tra i membri del partito, egli dovette seguire i genitori che erano stati epurati, e mandati a riabilitarsi lavorando tra i contadini in un piccolo villaggio. Anch'egli quindi aveva dovuto abbandonare la città e la scuola media che frequentava, e si era trovato disorientato e solo, in una grande miseria. Raccontò che ad incoraggiarlo e aiutarlo fu una donna che, come scoperse poi, era cristiana; era una insegnante ed era stata anch'essa epurata con il marito e mandata a lavorare fra i contadini di quel villaggio. Quella sua generosità, semplice e disinteressata, lo colpì moltissimo e, quando finalmente poté tornare in città, egli decise di conoscere meglio il cristianesimo. Io lo incontrai nel 1980 a Pechino, perché aveva cominciato a studiare l'italiano e mi chiese di aiutarlo a venire in Italia a studiare il cristianesimo. Riuscii a procurargli una borsa di studio per l'Università Cattolica di Milano, dove seguì i corsi di Scienze religiose e riuscì a fare una tesi sul Concilio Vaticano II. Egli divenne così lo specialista sulla Chiesa cattolica nell'Accademia delle Scienze Sociali di Pechino, una posizione di prestigio, dalla quale poté mandare anche osservazioni e suggerimenti alle autorità governative.


Uno dei danni maggiori per la comunità cristiana era stata la chiusura di tutti i seminari e la dispersione delle comunità religiose, avvenuta verso la metà degli anni '50. Per tre decenni, in Cina non ci fu più alcuna ordinazione sacerdotale; anche tutte le comunità di suore erano state abolite, come inutili per la società, e le loro opere requisite. Solo nella prima metà degli anni '80, con la nuova politica attuata da Deng Xiaoping, sono state riaperte o ricostruite molte chiese (e lo stesso avvenne per i templi e le moschee), ed è stato permesso alla Chiesa cattolica di riaprire i seminari (e anche le altre religioni riconosciute hanno potuto cominciare nuovamente a formare i propri ministri del culto). Come potete immaginare, all'inizio fu un dramma, perché mancavano strutture adeguate, insegnanti e libri di testo. Ma, con la grazia di Dio tutte le difficoltà sono state superate. Uno dei giovani sacerdoti di questa nuova generazione raccontò a mons. John Tong come aveva sentito la chiamata del Signore. Durante la Rivoluzione Culturale (1966-76) egli era un ragazzo. Un suo zio sacerdote era stato condannato a morte, e la sua esecuzione era avvenuta allo stadio della città, con un gruppo di altri "criminali". Molta gente era stata costretta ad assistervi. Anche lui era presente fra la folla. Racconta che quando sentì la raffica di fucili e vide lo zio cadere nel suo sangue, scomparve la sua paura e gli nacque in cuore una decisione: "Devo diventare prete, per finire il lavoro di mio zio!". Da allora, in meno di 20 anni, dopo la riapertura sono già stati ordinati circa 1700 nuovi sacerdoti nei seminari ufficialmente riconosciuti, mentre un altro migliaio hanno studiato come hanno potuto in seminari clandestini. E anche le comunità religiose femminili stanno rifiorendo, impegnandosi in molte opere di carità, a servizio dei più abbandonati.


Chiederete: come è stata possibile questa rinascita? È un fatto davvero eccezionale, se si considera che il regime comunista in Cina continua ancora oggi a impostare la formazione della gioventù sui principi del cosiddetto materialismo scientifico e dell'ateismo. Tutti i cinesi nati negli ultimi 60 anni sono passati attraverso una scuola che, dall'asilo all'università, insegna che il mondo e anche l'uomo sono soltanto materia e che non esiste alcun dio né spirito. C'è da aggiungere che, in seguito alla nuova politica che ha favorito l'arricchimento e la crescita economica, anche chi non crede più nelle teorie marxiste rimane vittima troppo spesso del materialismo pratico, che nasce dall'idolatria del denaro. Eppure, proprio in questa società inaridita, sta rifiorendo un bisogno di trascendenza, una nostalgia dello spirito, che è difficile spiegare.

Una recente inchiesta sociologica, condotta da due professori della "East China Normal University" di Shanghai (e pubblicata all'inizio di febbraio 2007 dalla rivista Oriental Outlook in lingua cinese), rilevava che il numero di cinesi che si dichiarano religiosi è molto superiore a quanto finora ufficialmente riportato. Il quotidiano di Pechino in lingua inglese China Daily (7 febbraio 07) dava rilievo all'inchiesta notando che, su un miliardo e 300 milioni di cinesi, il 31,4% (cioè circa 300 milioni) seguono una religione o praticano forme tradizionali di religiosità popolare (come il culto al Re Dragone o al Dio della Fortuna). Si nota un forte aumento anche per il Cristianesimo, che rappresenta il 12% dei credenti, cioè circa 40 milioni di cinesi, con un crescente interesse fra i giovani.

Il professore Liu Zhongyu, che insegna filosofia a Shanghai e ha aiutato ad organizzare l'inchiesta, precisava che già alla fine degli anni '90 un buon numero di persone di mezza età scelse la religione: "erano atei negli anni 1950, ma avanzando nell'età sono divenuti credenti". E osservava che non è la povertà a favorire il ricorso alla religione: molti nuovi credenti infatti vengono dalle zone costiere che sono economicamente più sviluppate: secondo il 24,1 % delle persone che hanno risposto alla domanda sulle motivazioni della loro scelta, la religione "indica il giusto cammino della vita". Del resto, al primo forum mondiale del Buddhismo che si svolse nel 2006 nella provincia dello Zhejiang, il governo cinese riconosceva che la religione svolge un ruolo attivo nella costruzione di una "società armoniosa". Risulta infatti, nota il prof. Liu, che le credenze religiose hanno aiutato notevolmente a ridurre il crimine in Cina.


Tutto questo rappresenta un ricupero dei valori tradizionali che avevano costituito l'anima della società cinese attraverso diverse dinastie che si sono succedute nel corso dei secoli. I valori religiosi infatti appartengono alle radici stesse della civiltà cinese, anche se la comprensione del fenomeno "religione" è diversa in Cina rispetto all'Occidente. Nella Cina antica la religione era intesa come una visione spirituale della vita, una religiosità diffusa e non centralizzata o strutturata, che privilegiava un rapporto dell'individuo con l'al di là e con i propri antenati, trovandovi anche sufficienti motivazioni per un'etica sociale.

All'inizio del secolo scorso, cioè nei primi decenni dopo la caduta dell'impero, e specialmente con il Movimento del 4 maggio (1919), ci fu un rigetto delle religioni tradizionali e dell'impostazione confuciana della società. Molti giovani intellettuali aderivano al Partito Comunista cinese (fondato nel 1921), abbracciando anche l'interpretazione "scientifica" che il marxismo dava della religione. Già ho accennato sopra che la Nuova Cina fondata da Mao nel 1949 ha seguito il modello sovietico. Anche riguardo alla religione; questa, che pure veniva inclusa nella prima carta costituzionale, era vista come "oppio del popolo". Anzi, con la Rivoluzione Culturale, Mao Zedong si era illuso addirittura di sradicare del tutto dalla società cinese questa "deformazione mentale". Questi estremismi ideologici sono stati superati con le riforme di Deng Xiaoping, e oggi si tende piuttosto a strumentalizzare le religioni per fini politici.

Non fa meraviglia quindi che durante il Congresso del Popolo della scorsa primavera, uno degli esponenti più in vista del Politburo in seno al Comitato centrale del Partito, Jia Qinglin, che è anche presidente della Conferenza Politica Consultiva del Popolo, ricevendo i rappresentanti delle 5 grandi religioni riconosciute in Cina (Taoismo, Buddismo, Islam. Protestantesimo e Cattolicesimo), abbia chiesto loro di valorizzare al massimo il "ruolo positivo" delle religioni per favorire l'armonia sociale. Jia Qinglin ha raccomandato ai leader religiosi di fare uno sforzo particolare per interpretare le rispettive dottrine in modo da promuovere lo sviluppo e la pace sociale.


Questa tendenza a valorizzare anche la religione per allentare le tensioni sembra condivisa dai prammatici leader attuali di Pechino. Se ne è avuta conferma proprio nel recente 17° Congresso del partito Comunista. I dibattiti di quella importante assemblea si sono svolti tutti, come al solito, a porte chiuse. Ma alla conclusione è stato annunciato che il Congresso aveva approvato addirittura un emendamento allo Statuto del Partito, per dichiarare che la politica verso le religioni dovrà mirare a "unire la massa dei credenti per contribuire allo sviluppo economico-sociale".

È probabile che nel Congresso sia stato dibattuto anche un argomento molto più impegnativo, ma non ne è finora trapelato nulla all'esterno. È noto che il Partito Comunista Cinese proibisce per statuto ai propri aderenti di professare qualsiasi forma di religione. Due anni fa fece meraviglia quindi la notizia che il Comitato centrale del Pcc aveva dovuto emanare(il 12 ottobre 2005) un "Documento riguardante le organizzazioni e i quadri del Partito che sono coinvolti, aderiscono e partecipano ad attività religiose". Lo ha rivelato l'importante rivista di Hong Kong Zhengming (Dibattiti) (sul n. 11/2005, pp. 8-9). Vi si parla di un'inchiesta fatta precedentemente dalla segreteria generale del Partito, da cui risultava che ben un terzo dei 60 milioni di iscritti, cioè 20 milioni, si sono avvicinati alla religione. Sarebbero 12 milioni i quadri di Partito delle aree cittadine che partecipano ad attività religiose, e di questi 5 milioni sono regolari partecipanti, mentre nelle zone agricole sono 8 milioni, con 4 milioni di regolari partecipanti. Vi si specifica che alcuni aderiscono con tutta la famiglia, altri partecipano addirittura insieme alle organizzazioni di partito. Vengono identificate 11 aree a livello provinciale in cui sono più numerosi i membri di partito che partecipano ad attività religiose; in certi distretti delle province Hebei e Zhejiang, numerosi leader di dipartimenti del Partito sono credenti cristiani.

Il Comitato centrale del Pcc decideva pertanto un giro di vite, vedendo nella "influenza e infiltrazione della religione" una pericolosa erosione dell'autorità del Partito stesso. La nuova direttiva ricordava alle organizzazioni di Partito ad ogni livello che non è permesso organizzare e partecipare, con qualsiasi pretesto, ad attività di carattere religioso; i quadri di Partito erano diffidati dall'aderire ad organizzazioni religiose; a coloro che già aderiscono e partecipano ad attività religiose si ingiungeva di lasciarle immediatamente e, di propria iniziativa, presentare un rapporto; chi non si adegua, sarà espulso dal Partito. In queste risoluzioni è la linea dura dell'ideologia che riaffiora. L'ala ideologicamente più intransigente e conservatrice del Partito guarda con preoccupazione al rifiorire della religione, e periodicamente propone che si intensifichino i programmi per la diffusione del marxismo. Ma i fatti dimostrano che la società cinese sta cambiando, e anche i dirigenti del Partito devono tenerne conto. La rivista Zhengming rivelava infatti un altro fatto sorprendente: in una riunione della Segreteria del Comitato centrale alcuni esponenti di alto livello hanno osato proporre che sia permesso finalmente alla fede religiosa e al credo comunista di convivere all'interno del Partito. Essi rivendicavano cioè anche per gli iscritti la possibilità di usufruire di tutte le libertà che la Costituzione del Paese riconosce ai cittadini, compreso il diritto di credere o non credere in una religione. Il motivo sarebbe proprio che la fede religiosa può rendere più armoniosa e stabile la società. È difficile prevedere che questi suggerimenti possano essere accolti, perché i conservatori non mancheranno di dar battaglia per difendere l'ideologia marxista, che il preambolo della Costituzione cinese approvata nel 1982 considera ancora intangibile.


È in questa complessa società che vive la minoranza cristiana; i cattolici, vi rappresentano a mala pena l'1% della popolazione, e non hanno alcuna voce pubblica. Per accennare anche solo superficialmente ai problemi che devono superare, ci vorrebbe un'altra conferenza. Mi limito ad alcuni aspetti soltanto, partendo dalle innumerevoli interferenze da parte del Partito e del governo che hanno costituito una struttura di vertice chiamata Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi (Sara), e si servono dell'Associazione Patriottica dei cattolici Cinesi per controllare la vita delle comunità. Avete certo sentito accennare che in Cina ci sono delle comunità di cattolici che sono considerati "clandestini" o sotterranei. Non è che siano nascosti; si tratta in realtà di fedeli che non vogliono accettare il controllo dell'Associazione Patriottica, e quindi sono considerati fuori legge, e spesso la polizia li ferma e li arresta, per riunioni o attività non autorizzate. Il tentativo fondamentale delle autorità è stato fin dall'inizio quello di staccare i cattolici di Cina dalla Chiesa universale e dalla comunione concreta con il Papa, affermando che in Cina la Chiesa deve essere totalmente cinese, e quindi capace di gestirsi da sé sia nell'evangelizzazione, che nelle strutture amministrative e nella gestione economica.

Uno dei punti più controversi è quello della nomina dei vescovi per la Chiesa cinese, che il governo vorrebbe decidere, o almeno controllare. E nei passati decenni l'imposizione delle autorità ha portato alla scelta di vari vescovi senza l'autorizzazione del Papa. Per fortuna, vari di loro sono poi riusciti a mettersi in comunicazione con la Santa Sede, confermando la loro fede e volontà di comunione col successore di Cristo.

La resistenza decisa della stragrande maggioranza dei fedeli ha difeso tenacemente la possibilità di pregare pubblicamente per il Papa, di poter seguire la liturgia rinnovata dopo il Concilio Vaticano II, ecc. Ma per quanto riguarda le direttive pastorali di Roma, il governo non esita a controllarle e a boicottarle, secondo i suoi interessi, con la scusa che non c'è alcun rapporto diplomatico tra Pechino e il Vaticano. È significativo, per esempio, che la lettera che benedetto XVI ha indirizzato qualche mese fa ai cattolici cinesi sia stata boicottata, e alle Chiese locali sia stato proibito di diffonderla, di studiarla e discuterne pubblicamente.

Intanto si verifica un fenomeno irreversibile, costituito dalla progressiva scomparsa della vecchia generazione dei leader della Chiesa. Durante il 2005 e 2006 sono deceduti ben 22 vescovi, la cui età media era attorno agli 85 anni (il più giovane aveva 77 anni). Il 7 gennaio 2007 moriva ultracentenario a Nanning (Guanxi) mgr. Giuseppe Meng Ziwen (nato nel 1903), che si era prodigato nel ministero pastorale fino all'estate del 2005. Dall'inizio di quest'anno, sono deceduti cinque altri vescovi della vecchia generazione, tra cui il vescovo (ufficiale) di Pechino, mgr. Michele Fu Tieshan, e il vescovo di Hankou (Wuhan), mgr. Bernardino Dong Guangqin, che era stato il primo ordinato senza l'autorizzazione della S. Sede nel 1958, ma che aveva poi chiesto e ottenuto il riconoscimento del Papa. Due di questi veterani presuli, che non erano stati riconosciuti dalle autorità, ebbero molto da soffrire: mgr. Han Dingxiang (di Yongnian nel Hebei) è morto nelle mani della polizia in circostanze inquietanti.

Nel biennio 2005-06 nove nuovi vescovi sono stati chiamati a governare altrettante diocesi della Cina. Con età media intorno ai 40 anni, sono tra i più giovani vescovi del mondo, appartenendo alla nuova generazione del clero cinese che ha potuto completare gli studi teologici solo dall'inizio degli anni '90. In qualche caso si riuscì a trovare una intesa pratica nella loro scelta e nella consacrazione. In altri invece, prevalse ancora la contrapposizione.

Intanto, il 30 giugno scorso 2007, è stata resa pubblica, dopo che ne era stata inviata copia in anticipo al governo cinese, una importante lettera di Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese, che era stata firmata già un mese prima. Si tratta di un documento molto articolato dal tono chiaramente pastorale[1], che tocca i molti aspetti della vita della Chiesa in Cina, sottolineando la sofferta fedeltà della stragrande maggioranza dei suoi figli e rivolgendosi anche con rispetto e volontà di dialogo alle autorità del Paese. La Santa Sede, scrive il Papa, conferma la "volontà di proseguire il cammino di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità governative" cinesi. Benedetto XVI non manca di affrontare anche il nodo del ruolo centrale che hanno i vescovi nella Chiesa fondata da Gesù, rivendicando il diritto che ha il vescovo di Roma nella loro scelta e consacrazione, ma riconosce pure al potere civile il diritto di intervenire, in considerazione del ruolo pubblico che essi svolgono nella società.

In questi ultimi mesi poi, un fatto positivo è stato che sulla scelta e la consacrazione di due nuovi vescovi, hanno potuto convergere sia l'approvazione delle autorità cinesi che il riconoscimento pontificio. Sono mgr. Paolo Xiao Zejiang, divenuto vescovo coadiutore di Guiyang (in provincia di Guizhou), e mgr. Giuseppe Li Shan, che è stato scelto come nuovo vescovo nella prestigiosa sede di Pechino. Questo è un elemento che fa ben sperare nella possibilità che si apra finalmente un dialogo costruttivo fra la Santa Sede e il governo di Pechino, per trovare una formula che rispetti sia l'autorità dello Stato che la fede dei credenti.

padre Angelo Lazzarotto




[1] Cfr. L'Osservatore Romano, 30 giugno-1 luglio 2007. Per il testo integrale della lettera si rimanda al sito internet della Santa Sede.
Il testo è accluso all'archivio disponibile per il download, contentente le relazioni di padre Angelo.




 
 
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