Mostra tutti i profili dei preti Fidei Donum della Diocesi
pubblicato martedì 14 marzo 2006
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Nasce a Conegliano l'11.04.1935. Entra nel seminario diocesano nel 1969 all'età di 34 anni, ricco dell'esperienza maturata fra gli scouts, nel sindacato e in fabbrica. Viene ordinato prete il 05.06.1976. Continua a fare l'operaio e il cappellano nelle parrocchie di Paré e S. Pio X. Nel novembre del 1980 parte per il Brasile e resta in diocesi di S. Mateus (ES) fino alla fine del 1986. All'inizio dell'anno successivo si trasferisce a Caetité (BA) e vi rimane fino all'estate del 1987. Rientra in Italia per ragioni di salute. Muore l'11.01.1999.
Quello che presentiamo è un profilo a più mani e ciò volutamente data anche la complessità della figura di don Armando.
Franco Beritivogli, sindacalista CISL, ricostruisce tappe e valori della vita dell'amico:
"Di Armando mi colpì la serietà, la coerenza slegata sempre da qualsiasi calcolo di convenienza, la vocazione alla solidarietà, al dono, alla gratuità. Colpiva soprattutto la sua profonda fede cristiana. Tutto ciò in uno stile sta ordinariamente semplice, umile, disponibile, discreto. Questo stile lo caratterizzava sia. nell'impegno scautistico al quale ha dedicato tanto impegno e passione nella prima parte della sua vita, sia nell'impegno sindacale, nelle lotte anche a rischio del posto di lavoro, sia nei rapporti di amicizia. Partecipammo con Armando il percorso del Seminario, le difficoltà con le gerarchie, il ritorno in fabbrica all'Alpina da operaio. Poi l'ordinazione sacerdotale (l976), prete e operaio, con semplicità e sobrietà evangelica, senza ostentazioni. Diventò cappellano a Parè e a San Pio X. Nel 1980 partì come missionario per il Brasile dal quale rientrò nel 1987".
Don Gianpietro Zago parla degli anni del Seminario:
"Lasciò un segno, fu un segno del nuovo che avanzava. Venne in Seminario sul finire degli anni '60, stagione intensa del dopo Concilio. Sul versante sociale ed ecclesiale erano anni carichi di idealità, di spinte oltre ciò che si vedeva, di fermento e di speranza. L'elemento fondamentale era un grande entusiasmo, un desiderio di confronto con la vita e la storia; c'era gioia di partecipazione, un senso quasi epidermico di giustizia, di uguaglianza, di dignità. Armando si presentò come un uomo adulto con alle spalle un'esperienza di vita, un vissuto: un uomo maturato alla scuola della vita. La sua presenza contribuì a risvegliare uno consapevolezza nuova della propria originalità e a metterci in movimento: sottolineava l'importanza del cercare, del riflettere, del comunicare dopo aver pensato. Ricordo la sollecitazione a "prendere sul serio la vita" come luogo in cui Dio si manifesta, a diventare uomini con spina dorsale significativi e autorevoli, a vivere la fede in Gesù Cristo come coinvolgimento di tutta la vita.
Una fede essenziale: lo ricordo cristiano adulto che giocava la sua vita per il Vangelo, punto di riferimento costante.
Una fede legata strettamente alla vita. Lo stile della sua esistenza mostrava questo collegamento stretto: fede e vita facce della stessa medaglia. La fede gli ispirava un modo di leggere la vita, di stare a questo mondo, di essere cittadino della terra; una fede, amava ripetere, "che non ti esonera dal vivere sotto il sole e conoscere la fatica del lavoro, la precarietà del presente". Fede in Gesù e lettura della realtà, dei 'segni dei tempi'. Leggere la realtà equivaleva a "prendere coscienza dell'incidenza della casa, del lavoro, della salute, dei problemi del territorio" sulla vita delle persone concrete e dunque crescere nella familarità con la concretezza del vivere. Ancora, significava avere occhi aperti sulle "nuove istanze" come i temi della pace, della nonviolenza, dell'obiezione di coscienza (non c'era ancora la legge); occhi capaci di cogliere i "semi del Verbo" ovunque diffusi, nella Chiesa e nella società, nel credente e nel non credente...
Di qui la sua laicità vissuta come cogliere il positivo ovunque, cercare il dialogo con tutti, lasciarsi contagiare. Diceva: "Non si tratta di convertire il mondo alla chiesa, ma di convertirsi insieme al Vangelo".
Ecco indicato uno stile di essere credente e di vivere il ministero: essere dentro, stare volentieri accanto a chiunque, fare la propria parte, partecipare con tutti alla creazione di una convivenza fraterna e giusta.
Ha amato molto la Chiesa come popolo di Dio, come luogo del racconto dei vari vissuti, come "comunità di persone" che si esercita nel rispetto dell'aItro/a/i, che dice le cose con franchezza, che sa farsi carico "della velocità dell'ultima carrozza", che guarda avanti nella direzione del Regno a cui tutti sono chiamati.
Tutto questo lo ha portato a vivere e a dare un senso al suo ministero di presbitero: non gestore di cose religiose, ma servo del Vangelo, servo del Regno, un "servo inutile" perchè gratuito. La sua vita continua, a risuonarmi come esemplificazione di quanto Gesù dice nel Vangelo: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
"O amor não se explica com palavras": un detto brasiliano che condensa la sua parabola. "L'amore non si spiega con le parole, ma con la vita". Grazie ancora, Armando".
Il Vescovo di São Mateus, Mons. Aldo Gema:
"II popolo lo ricorda bene e con 'saudade' per il suo zelo apostolico e la sua fedeltà agli impegni. Il suo esempio certamente aiutò a creare lo stesso spirito di fedeltà nelle comunità ecclesiali. Lo possiamo definire un buon operaio della vigna di Dio. La sua precedente esperienza di operaio in Italia gli servì per comprendere e amare di più il nostro mondo di contadini......" (3.7.1999).
Il Vescovo di Caetité, Mons. A. Alberto Guimarães Rezende, ai famig1iari scrive:
"Don Armando era un prete sempre pronto a capire le persone" (30.6.1999).
Don Antonio Pianca lo ricorda così:
"Abbiamo lavorato insieme nella Diocesi di S. Mateus. Eravamo preoccupati di realizzare le ispirazioni emerse nel Concilio Vaticano II. Si diceva che la Chiesa per essere fedele a Cristo doveva manifestarsi sempre meglio come popolo dì Dio. È per questo che nel lavoro pastorale eravamo preoccupati di dare vita alle comunità ecclesiali di base. Ed è proprio in questa pastorale che don Armando si sentiva bene, sembrava il suo luogo più che naturale. don Armando si sentiva ed era popolo e con il suo lavoro di prete, per il tipo di prete che era, riusciva ad aiutare in maniera efficace la gente, i fedeli a sentirsi e a diventare sempre più Popolo di Dio.
La sua persona era arricchita di grande semplicità, la bella e sapiente semplicità evangelica. Parlava poco della sua vita, ma parlava molto con la sua vita. don Armando amava e rispettava tutti ma entrava subito in sintonia con i più semplici, si faceva capire e li capiva".
Don Domenico Salvador prese il posto di don Armando a Montanha, diocesi di S. Mateus:
"Lì ho colto il segno della tua presenza pastorale. In poco tempo hai lasciato una traccia profonda nelle persone e nella comunità. Il tuo apostolato era basato sul rapporto umano aperto e responsabile, improntato a una cordialità schietta e senza distinzione di persone, anzi con una spiccata preferenza per gli umili e i piccoli. Uno stile veramente ecclesiale.
Hai testimoniato come è prezioso l'ascoltare, il saper perdere tempo, l'andare in profondità nei nostri incontri e celebrazioni, lasciando spazio alla creatività e all'espressione di tutti".
Don Martino Zagonel visse con don Armando l'ultimo periodo prima del suo ritorno in Italia malato:
"Ho colto in don Armando una grande disponibilità e povertà evangelica nel lasciare la diocesi di S. Mateus. La libertà e la disponibilità ad andare dove c'era bisogno era accompagnata da uno stile di vita estremamente sobrio e povero. Poche cose, pochi vestiti, pochi libri, l'essenziale. Volle rimanere al suo posto anche dopo i primi segni della gravità della malattia. Perseverò a fare il parroco anche se malato finché ebbe la certezza di essere sostituito.
La gente lo ricorda con affetto soprattutto in questa sua condizione di prete malato eppure ancora a servizio.
In alcuni animatori è indelebile il ricordo di lui prete sofferente".