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"Liberi e forti": un appello al plurale

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pubblicato domenica 20 gennaio 2019



Sabato 18 gennaio 1919: don Luigi Sturzo insieme ad altri firmatari sottoscriveva e pubblicava l’“Appello ai liberi e forti”, il manifesto politico con cui nasceva il Partito Popolare Italiano.

Chiaramente, a un secolo di distanza, è completamente cambiato il panorama storico e politico. Tuttavia, la crisi economica non del tutto attraversata e, più ampiamente, la “Terza Guerra Mondiale a pezzi”, così come l’abituale disinteresse per la vita politica del Paese e per tutto ciò che riguarda il bene comune, fanno molto assomigliare i nostri tempi ai quelli di cent’anni fa, quando si era alle prese con la distruzione prodotta dalla Grande Guerra e con l’esclusione dei cattolici dalla politica a causa del Non expedit di papa Pio IX.

Oggi come allora, in un frangente storico che chiede la capacità di una ripartenza, si fa strada anche il medesimo rischio: quello di affidare a un “uomo (o partito) della provvidenza” il destino di tutto un popolo. È però troppo facile delegare a un solo “libero e forte” il compito di rispondere alle ansie e alle paure di chi vive in regime di precarietà, salvo poi scoprire, com’è avvenuto nella storia, il prezzo da pagare: quello di una libertà mutilata e vilipesa, e di una forza trasformata in violenza e sopruso che non ha potuto portare altro che ulteriori guerre, e morti, e fame.

Di tutt’altro tenore era l’invito di don Sturzo: un appello ai “liberi e forti”, al plurale, con il desiderio che la politica fosse lo spazio di tutti, o quantomeno del maggior numero possibile di persone. Tutti, senza abdicazioni o deleghe, sono chiamati in prima persona a farsi carico del bene comune, che in questi cent’anni di storia è diventato non solo il bene dell’Italia, ma anche il bene dell’Europa e di quella “casa comune” che è il mondo. Del resto, lo stesso manifesto del Partito Popolare Italiano aveva ben chiaro l’orizzonte di speranza rappresentato allora dalla Società delle Nazioni – corrispondente all’attuale ONU – per cui la sovranità di un popolo necessitava di un’istanza più ampia che la regolasse, per non eccedere in spinte autoreferenziali, causa, com’è avvenuto, di ulteriori reciproche sopraffazioni. Oggi quest’orizzonte di fondo per il nostro Paese può essere a buon diritto rappresentato dall’Unione Europea, quale espressione di un legame che trascende (o dovrebbe trascendere) gli interessi di parte, nella logica di una più ampia appartenenza. E questi settant’anni di pace ci fanno sperare che questa possa essere davvero una strada fruttuosa, a patto che sia percorsa fino in fondo.

Non hanno senso perciò categorizzazioni divisive: solo nella misura in cui ci si riscopra insieme forti perché insieme liberi si potrà sperare in una ripartenza sociale, economica e culturale. Ma dev’essere chiaro che questa ripartenza non potrà mai essere vera e duratura se sarà di qualcuno a discapito di altri.

Se don Luigi Sturzo cent’anni fa ci ha offerto un esempio alto di ciò che la fede cristiana può ispirare per il bene comune, spetta a ciascuno di noi oggi, tanto più se millantiamo una convinta appartenenza al cattolicesimo, farci promotori di una “libertà e fortezza” capaci di ridare spessore alla politica, perché torni ad essere la forma più alta di carità. Per far questo non servono “uomini della provvidenza”, superuomini dai superpoteri. Basterebbero uomini di parola, capaci di dialogo e lungimiranza, che abbiano chiaro che la politica non è un “affare sporco” da cui stare alla larga (o di cui approfittare, nel senso deteriore del termine), ma, al contrario, il luogo dei valori tradotti in scelte, del confronto per un bene condiviso.

Probabilmente pensare a un partito politico in cui i cattolici debbano oggi necessariamente riconoscersi sarebbe astorico e inconcludente, come alcuni tentativi hanno dimostrato in occasione delle ultime elezioni politiche. Ispirati e formati alla luce dei valori cristiani, abbiamo bisogno di uomini e donne che, come cent’anni fa, siano appassionati dell’uomo, “moralmente liberi e socialmente evoluti” direbbe Sturzo, e per questo capaci di portare dentro a una politica immiserita da chi, a turno, fa la voce più grossa, promette l’impossibile e ritratta con nonchalance, una maturità e una coscienza collettiva che tornino a farci gioire dell’essere “popolo”, molto più cioè di una massa di individui giustapposti senza libertà, né forza. Esempi, in questo senso, non mancano: dal Presidente della Repubblica ai Sindaci più vicini alla gente si sta facendo strada l’idea di una politica di alto profilo. Troppo poco se ci accontentiamo di qualche brav’uomo; già abbastanza se ci fa crescere nel desiderio di una partecipazione popolare alle scelte che riguardano il futuro e il bene di tutti.

Don Andrea Forest

(pubblicato nel settimanale diocesano L’Azione, n. 3 del 20 gennaio 2019)




 
 
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