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pubblicato marted́ 8 febbraio 2011
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Intervento dei coniugi Luisa e Matteo Crema
Convegno diocesano di Pastorale Familiare
Vittorio Veneto, 6 febbraio 2011
Questa meditazione ci porta alla missione che noi sposi abbiamo nella Chiesa; missione che ogni credente ha fin dal Battesimo, quando lo Spirito Santo lo rende partecipe della vita di Gesù e quindi chiamato a testimoniarla. Con il matrimonio cristiano gli sposi, essendo stati donati uno all’altro da Cristo e rimanendo a Lui legati, vivono con Lui e in Lui il Suo donarsi alla Chiesa, diventando “testimoni in coppia”.
Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica (nr 1534): l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio agli altri. essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio. Forse non lo sappiamo o l’abbiamo distrattamente dimenticato, benché con ruoli, carismi e modalità diverse gli sposi, unitamente ai sacerdoti, sono strumento di salvezza. Ordine e Matrimonio sacramenti rivolti verso l’esterno. Lo Spirito che consacra per andare. Con il sacramento del Matrimonio abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo. Questo dono eleva la nostra relazione ogni giorno dentro la relazione di Cristo con la Chiesa e rende gli sposi partecipi di questo amore: sempre Gesù presente, Gesù che agisce, Gesù che vuole comunicare amore, che vuole amare l’umanità e condurla a nozze, ma lo fa “mediante”, “attraverso” il volto, i gesti, l’azione, la relazione dei due sposi, per cui si può dire correttamente che anche gli sposi sono pane d’Amore spezzato per gli altri, ma soprattutto si può dire che è sempre Gesù che vuole comunicarsi attraverso loro.
Perché Dio ha scelto la coppia per proporsi alla Chiesa? In Genesi (1,27) leggiamo “Dio creò l’uomo a Sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Dio, quindi, nel voler creare l’uomo a Sua immagine e somiglianza crea a coppie. Già in questa identità è scritta la missione degli sposi:
...a immagine: è perché si veda. Nessuno realizza un’immagine perché non si veda!
...a immagine e somiglianza: è perché chi li vede, veda qualche cosa di Dio, della Sua presenza.
Questo vivere a immagine e somiglianza è un dono per gli sposi, che possono vivere alla divina, chiamati ad un amore “divino”. Ma è anche una responsabilità . Agli sposi è dato un “dolce peso”: quello di sapere che possono dare o non dare l’immagine di Dio:ogni coppia ha libertà di scelta, ha la possibilità di decidere. Gli sposi, possono consentire o meno che in loro si veda la somiglianza. Possiamo essere delle TV accese al canale Trinitario oppure, TV in bianco e nero, privi cioè di colore, dove c’è monotonia. Vivendo a immagine e somiglianza gli sposi qui sulla terra, fanno memoria di Dio: Dio, Tri-Unità. L’uomo e la donna due esseri distinti, diversi, ma che si realizzano a vicenda, in tensione l’uno verso l’altra, in relazione tra di loro; proprio come in relazione tra di loro sono le tre persone della Trinità e come la relazione che Dio stesso vuole tra Se stesso e il genere umano. Dio si rivede nella coppia.
Quindi, che immagine poteva dare per descriversi? Dio UniTrino, possibile da descrivere come relazione d’amore tra le persone Trinitarie. Al riguardo viene in mente l’icona della Trinità di Rublev in cui si vede questo sguardo d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo.
Come poteva tentare di manifestarsi all’umanità se non attraverso un’altra relazione d’amore?
Come già detto mediante l’effusione dello Spirito Santo la coppia viene resa partecipe di quell’amore Trinitario, viene coinvolta in quell’amore. Dio si manifesta nella coppia perché come poteva altrimenti esprimersi? (Lui unità nella distinzione, tre persone in una). Pensiamo alla coppia: due persone diverse (per attitudini, carattere e soprattutto corpo) distinte ma nello stesso tempo unite. Pensiamo all’unione dei corpi , ma non solo. Quell’atto che, nel momento più alto ed intenso di unione fa sentire il maschio totalmente maschio e la femmina compiutamente femmina. La coppia non come fusione di due persone ma come unione (nella fusione si perde sempre qualcosa).
Nella famiglia, nascendo e sviluppandosi la coppia ad immagine della comunione divina, vi è il substrato minimo sulla terra per dire la “massima comunione” della Trinità. Cosa è più naturale alla famiglia se non la capacità di creare e sostenere relazioni (figli, amici dei figli, parenti,...). A Dio serviva avere un mezzo naturale per dire amore, accoglienza, fraternità, tenerezza, fermezza, comprensione. Quale strumento gli sarebbe più congeniale se non attraverso la famiglia? Se ci pensiamo bene per noi genitori è abbastanza naturale amare i figli, anche qualora non siamo ricambiati, è naturale la tenerezza (pensiamo in particolare a quando un figlio è ammalato), è naturale comprendere le ragioni (anche quando non è così facile condividerle o giustificarle)...
Allora, a cosa può essere chiamata la famiglia se non a generare germe di Chiesa, a far sì che il desiderio di paternità e maternità di Dio possa concretizzarsi (e non solo recitando un distratto Padre Nostro la sera con i figli tanto per sistemare la coscienza). Gli sposi non solo ricevono l’amore di Cristo diventando comunità “salvata”, ma sono anche chiamati a “trasmettere” ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità “salvante”. In questa maniera, mentre è frutto e segno della fecondità soprannaturale della Chiesa, la famiglia cristiana è resa simbolo, testimonianza, partecipazione alla maternità della Chiesa.
La comunione che si genera nella famiglia non ha eguali, non c’è altra forma aggregativa che la possa definire e comparare (é, casomai, la comunità, o gruppo, a prendere spunto dalla famiglia per realizzare il proprio stile). La cosa non è così immediata nella nostra cultura dove, per contro, si parla solo di singolo, si pensa al singolare (ecco allora che tutta la preoccupazione alla tutela della libertà intesa come assenza di regola modella la cultura in modo da farci pensare quanto l’ego sia al centro della vita, nel lavoro,nello sport, in famiglia: devo essere il migliore, devo arrivare primo, devo avere la mia libertà, il tempo libero che mi spetta). Ma è questa la famiglia insegnataci dai nostri padri?
Ma tutti questi valori non sono forse intrinsecamente presenti nella famiglia? Non basterebbe “ritirar fuori dalla salamoia” quello che la famiglia è per ridare unità, speranza, solidarietà, accoglienza insomma ...per dare amore.
Ma di chi è questo ruolo specifico? È forse dei teologi? È forse della scuola? È forse dello stato? No. È nostro questo ruolo e nessuno ce lo può togliere e, soprattutto, nessuno ci può sostituire. Attenzione, invece, a non seguire tutte le sirene che dicono diversamente. Chi ha distrutto la famiglia e banalizza la coppia è proprio chi ha capito che distruggendola Dio non può più agire. Certo, ci saranno dei preti eroici che continueranno l’annuncio ma un sacerdote potrà arrivare nel mio ufficio dove il collega bestemmia?, il sacerdote potrà arrivare in quello studio medico in cui si consiglia l’aborto?, il sacerdote potrà arrivare in quel campo da calcio in cui s’insegna che l’importante è vincere e, quindi, il fine giustifica i mezzi necessari per arrivare?
Ma se le cose stanno così allora, se Dio ci ha creato a Sua immagine, se Dio ha creato a coppie per dire quanto la relazione sia luogo di salvezza, se Dio ci ha coinvolti e resi partecipi dell’amore Trinitario non può accontentarsi di avere delle belle coppie, di avere delle famiglie dove si sorride tanto ma che non sanno aprire la porta. Non può accontentarsi di coppie che si aprono alla vita, permettendo quindi attraverso i loro corpi a Dio di continuare la creazione, senza sentire dentro di sé il bisogno di prendersi cura di altri figli che li circondano. Cosa può fare una coppia per gli altri? Una bella coppia aperta agli altri come ce ne sono tante può:
Ma la coppia è chiamata solo a questo?
Solo in questo senso la coppia è dono per gli altri e partecipa alla missione della chiesa?
Solo per i piccoli servizi che svolge magari anche in parrocchia? Il catechismo dei figli, l’essere lettore alla messa, partecipare al gruppo missionario, organizzare i campi estivi,..?
No la coppia è chiamata a portare Gesù agli altri, ad accompagnare altri fratelli, ad incontrare il Signore e il Suo amore, a far consapevoli altre persone di essere figli di Dio. Per portare Gesù agli altri, per vivere la fecondità spirituale, è necessario che i coniugi scelgano di essere un NOI e di diventare coppia sposa di Cristo. Tutto questo è impossibile se non si passa dal riconoscere Cristo sposo e Signore della nostra coppia. La coppia non è autonoma.
La fecondità di coppia deve far respirare l’infinito amore di Dio. Non si può far cogliere solo l’amore di coppia senza indicare la grandezza e la bellezza dell’amore di Dio.
I primi a cui beneficiare di questo amore devono i figli. E il primo gesto d’amore che si può fare loro è il Battesimo. Poi farli sentire amati dai genitori ma, prima di tutto, pensati e amati fin dal principio da Dio in maniera personale.
Aiutarli a scorgere nella loro vita l’infinitezza dell’amore di Dio. I bambini, o meglio, ciascuna persona, hanno sete di infinito e diventa riduttivo e sterile saziare questa sete tenendo Dio al di fuori di questa ricerca.
Alla luce di questo amore fecondo, che prende le mosse dal Padre, di questo bene che si vuole per amore e nell’amore, vengono di riflesso tutte le altre scelte educative e relazionali:
Non c’è fecondità se non nell’amore e non c’è capacità di amare che non abbia il dovere di esprimersi attraverso relazioni che aiutino ad incontrare la luminosità di Dio.
Come questa fecondità trova posto nella storia di ciascuna coppia? Quali le attenzioni e gli atteggiamenti che permettono di generare vita nel quotidiano, nella ferialità? Quale la fecondità che può essere fatta gustare ad altri?
Per l’azione dello Spirito Santo, che abita la in maniera stabile la coppia dal giorno delle Nozze, gli sposi sono resi capaci di comunicare e contagiare chi sta loro acconto di quell’Amore proprio della Trinità. Come si legge in Familiaris Consortio al N. 13 “Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi come Cristo ci ha amati. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce.
È un amore che non si trova in nessun posto, in nessun modo, così forte e preciso sulla terra, come nella coppia di sposi. È un amore che compone simultaneamente in modo straordinario unità e distinzione, anzi la più alta qualità di unità e la più alta qualità di distinzione.
La coppia di sposi per la forza dello Spirito Santo, emana amore:
e nello stesso tempo emana una qualità di amore che rispetta la distinzione di lei-sposa e di lui-sposo, la distinzione dei figli nella loro individualità sapendo amare valorizzando la distinzione, la qualità, la bellezza dell’altro/a. La coppia di sposi può specializzarsi con l’aiuto dello Spirito Santo, in questo Amore Uno e Trino, unito e distinto, ed educare a sé le persone a questa unità e distinzione.
Un amore che congiunge terra (gli sposi) e cielo (Gesù Sposo), casa con apertura sul cielo... Nel Sacramento del Matrimonio la coppia, in quale intima unione, piccola chiesa, si unisce a Gesù Sposo. Quindi l’amore introdotto all’interno di ciascuna coppia non è semplicemente quello “umano” legato alla reciprocità sposo-sposa, genitori-figli, bensì ciascuna famiglia è quotidianamente inondata, per mezzo dello Sposo Gesù, dell’Amore Trinitario.
Al riguardo in Comunità e comunione nella chiesa domestica, un documento dei Vescovi italiani dei primi anni ’80, al nr. 10 si legge “L’unione degli sposi fatta nel Signore ... è un segno che non soltanto rappresenta il mistero dell’unione del Cristo con la Chiesa, ma lo contiene e lo irraggia per mezzo della grazia dello Spirito Santo che è l’anima viva e vivificante. Perché è veramente lo stesso amore, che è proprio di Dio, che egli comunica, perché noi lo amiamo e perché anche noi ci amiamo di questo amore divino“.
La coppia cristiana, tiene viva, per sua natura direttamente la relazione con Gesù Sposo. In ogni famiglia cristiana esiste, ed è attiva 24 ore su 24, la comunicazione con Dio Padre, con Gesù Suo Figlio lo Sposo e con lo Spirito Santo che rende possibile questa comunicazione.
Quindi gli sposi, non sono solo in comunicazione con Gesù (che è in casa con loro), ma hanno il potere di mettere in comunicazione con Gesù altre persone, hanno la possibilità di far gustare a qualcuno, anche se non lo sa o non lo vuole, un contatto con Gesù.
Gli sposi, condividono con Gesù la passione per collegare con Lui tutta l’umanità. Hanno dentro di loro la passione di Gesù-Sposo, che vuole sposare l’umanità, tutte le persone.
Quindi gli sposi sono chiamati a costruire ponti, contatti, tra Gesù che è con loro e ogni persona che incontrano. Attraverso loro, Gesù vuole condurre altri alle Nozze: “Affinché nessuno vada perduto”.
Gli sposi, resi partecipi dell’Amore trinitario sono chiamati a condividerlo per darlo ad altri. Difatti, nulla ci è dato gratuitamente da Dio se non perché questo sia donato (redistribuito).
Gli sposi sono chiamati a esprimere l’amore stesso di Dio Padre per poter dire come Gesù lo Sposo: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” Gv 12,45, il PADRE.
È una paternità e una maternità che va oltre i figli. I figli biologici, se ci sono, divengono l’innesco per far pulsare il cuore e aprire gli occhi ad altri figli/fratelli. Come abbiamo sentito prima, la fertilità è un aspetto della fecondità ma non la esprime totalmente. Così paternità e maternità sono espresse anche dall’essere genitori ma non si ferma lì. La chiamata di ciascuna coppia è di “far figli di Dio”, amare i figli di Dio, non avendo limiti nell’avere figli per essere padri e madri come il Padre che è nei cieli.
Gli sposi cristiani, hanno una paternità e maternità che si estende fuori casa, oltre la parrocchia e che sa intravedere figli di Dio in tutte le persone che incontrano.
Gli sposi cristiani, si rendono conto che paternità e maternità non è solo il pane spezzato per gli sposi, ma è un pane che gli sposi possono moltiplicare per quanti incontrano.
Come Gesù nel deserto ha moltiplicato il pane, così gli sposi oggi nella solitudine affettiva, possono moltiplicare il pane dell’amore che fa conoscere il volto del Padre.
“Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” Mt 5,16
È nella famiglia che si conosce la natura della parola: fratello-sorella, perché certamente qualcuno dei componenti lo ha sperimentato sulla propria pelle. È in famiglia che si respira la bellezza della fraternità e sororità (amicizia, vicinanza, fratellanza), si sperimenta che l’umanità non finisce con me ma che io sono parte di una comunità più grande.
Se questo viene messo in relazione con l’imperante individualismo che contraddistingue la nostra società, si capisce come in maniera semplice (portando fuori casa lo stile di fraternità con le persone con le quali condividiamo la fede, il lavoro, gli impegni sociali, la vicinanza di casa, ecc) ed efficace, ciascuna famiglia possa costruire Paradiso qui in terra.
Fraternità è la capacità di comporre famiglia, la diversità di generazione di doni e di esperienze. Si può ancora dire Abba, Padre, e indicare la via che ad esso conduce, nella ferialità, nella normalità delle relazioni che ci coinvolgono nel corso della giornata, nella semplicità di una vicinanza, nel silenzio di un fratello che vuol essere accanto senza per forza riempire di parole la relazione.
Gesù si è legato agli sposi col Sacramento delle Nozze. Quindi, parafrasando uno spot “dove c’è coppia c’è Cristo” e dove c’è coppia cristiana c’è Chiesa. La coppia di sposi, ciascuna coppia, anche la più sganghera, persino la più bella, è richiamo permanente del Cristo Sposo. Ovviamente il manifestarsi di questa ricchezza è sempre legata alla libertà della coppia di mostrare il Cristo presenta nella loro casa (ciò non toglie che comunque, seppur “imbavagliato e nascosto in polverosi bauli” Gesù è presente).
Attraverso la pentecoste coniugale (effusione sulla relazione) la famiglia cristiana, come tale (non solo la sposa o solo lo sposo), diviene “cellula viva e vitale” della Chiesa. Gli sposi non sono quindi semplicemente fruitori della pastorale ma, di per se, soggetti attivi dell’azione evangelizzatrice.
Gli sposi, per la grazia dello Spirito, hanno la specifica missione di far vivere nella propria casa l’essere Chiesa domestica, l’essere germe di chiesa (incompleta, in quanto per essere tale manca la presenza dell’Eucaristia e del pastore, ma sufficiente per far fare esperienza di chiesa).
La famiglia diventa ciò che è, piccola Chiesa domestica. E come?
Per la grazia del sacramento del matrimonio, ogni coppia è chiamata ad essere pane spezzato per chi le è accanto, per tutti coloro che vivono nella rete delle proprie relazioni: familiari, colleghi, amici, vicini... Dio chiama ogni coppia a far famiglia nel suo nome, ad essere padri e madri dei Suoi figli... Dio ci chiama a far crescere la vita che Lui ci ha messo accanto.
Il tutto nella testimonianza di vita condotta nello Spirito che trasfigura, vivendo in maniera straordinaria l’ordinarietà (liturgia feriale). Ogni famiglia, inizio di chiesa domestica, può invitare amici, conoscenti, colleghi, a godere della presenza di Gesù e della Sua parola perché, per far Chiesa è indispensabile:
È l’Eucaristia della domenica che fa poi CHIESA GRANDE.
La famiglia che il Signore ci chiama a costruire è grande, poiché l’amore che possiamo trasmettere attraverso il sacramento del matrimonio è l’amore di Dio. E questo è un amore incontenibile. Dio ci dona un cuore a fisarmonica capace di accogliere ogni figlio e fratello che Lui vuole donarci.
In Genesi (9, 5) sta scritto: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, ad ognuno di suo fratello”. Dio ci chiama a curare, a far crescere nel Suo amore chi ci è accanto, ci chiede di amare chi ci sta accanto al Suo posto come se ad amarlo fosse Lui (Gv 13, 34 - “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”).
Ecco allora che far Chiesa in casa non è solo un astratto enunciato, un obiettivo bello ma inarrivabile, ma esperienza possibile e che da nuova linfa alla coppia. E tutto a costo zero in quanto la fede cresce annunciandola per cui, nella misura in cui sappiamo donarla essa viene moltiplicata; nella misura in cui le nostre case sanno dare amore (che non significa dare una laica assistenza sociale bensì con-patire) Dio lo moltiplica.
Luisa e Matteo Crema
* * *
Nel percorso formativo del Progetto si è anche approfondito, a conferma dell’intuizione sopraesposta, il ruolo storico della famiglia nell’evangelizzazione.
Fin dai tempi apostolici, come emerge soprattutto dal libro degli Atti degli Apostoli e dalle lettere paoline, possiamo constatare che il comune “dovere” di evangelizzare di ogni discepolo di Cristo veniva esercitato ovviamente sotto la guida degli apostoli, ma (altrettanto fondamentale) vissuto in chiese domestiche.
I primi cristiani si ritrovavano nelle case delle famiglie non per meri problemi logistici (anche se l’ostilità esterna consigliava una certa riservatezza), ma perché le “case” rispondevano adeguatamente alle esigenze legate alla diffusione del Vangelo.
Il libro di Atti è particolarmente significativo in ordine alla ricostruzione dello sviluppo della Chiesa dei primi tempi. In esso vi è la presentazione della Chiesa delle origini basata sulle famiglie e con una struttura iniziale essenzialmente “domestica”. È la “casa” il luogo primario di ascolto e di annuncio del vangelo.
Un esempio significativo è la lettura attenta del biglietto di saluti apposto come ultimo capitolo della lettera di San Paolo ai Romani (16,3-16), dove l’apostolo, salutando questa Chiesa che sta per visitare, ricorda continuamente che la Chiesa di Roma era strutturata in tante piccole aggregazioni dove circolava un amore molto intenso tra i membri e che avevano nelle case private, generalmente di una coppia di sposi (anche se spesso viene citato solo il capofamiglia), il loro punto di riferimento.
Aquila e Priscilla sono la prima coppia attorno a cui si raduna forse la principale (vv. 3-.5) di queste domus ecclesiae che la lettera ai Romani menziona: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; ...salutate anche la chiesa che si riunisce in casa loro” (Rm 16,5). [9]
Lo stesso si può dire per Fil 4,22: «Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare», come pure di Fm 1-2: « Paolo... e il fratello Timòteo al nostro caro collaboratore Filèmone, alla sorella Appia, ad Archippo nostro compagno d'armi e alla comunità che si raduna nella tua casa». Letteralmente il testo suona «e alla chiesa che è secondo la sua casa». Anche Col 4,15 presenta un’espressione simile: «Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa».
Dai saluti delle lettere paoline ricaviamo, dunque, che le prime comunità cristiane crescevano nelle case, nelle famiglie. Le loro abitazioni diventavano alloggi, basi di appoggio materiali e morali per tutti i nuovi convertiti, per i più bisognosi e per i missionari itineranti. Le famiglie (genitori e figli) si allargavano alle persone che condividono la vita familiare a titolo vario, fino ad includere i nuovi arrivati (stranieri, schiavi, ebrei, romani o greci) che diventavano i loro “fratelli” e “sorelle” nel Signore.
In questa domus ecclesia i battezzati dilatavano la loro famiglia naturale in una dimensione di ruoli interscambiabili: essi sono gli uni per gli altri figli, fratelli, sorelle, padri e madri. In una situazione vitale come quella della domus ecclesia nascevano nuove relazioni, non fondate esclusivamente nel sangue o in rapporti socio-economici, ma nella novità dell’essere in Cristo, grazie al battesimo: colui che mi aveva annunciato per la prima volta Gesù diventava quindi un “padre” della mia fede, ma anche un fratello in Cristo ecc.
Per i primi secoli della storia della Chiesa le comunità cristiane erano costituite da queste famiglie-chiese che si riunivano per la preghiera, l’ascolto della Parola, la catechesi e per celebrare l’Eucaristia.
Solo nel secolo IV, quando la Chiesa ha potuto professare liberamente la propria fede, i cristiani, accanto alla loro vita comunitaria che continuava ad essere vissuta nelle case, hanno cominciato a costruire degli edifici (le basiliche) per contenere la “grande famiglia” ecclesiale che voleva stare insieme nello stesso luogo per la mensa eucaristica domenicale. E’ molto interessante comunque notare che gli architetti cristiani, pur di mantenere il senso di una famiglia che si ritrova nella stanza da pranzo della propria casa, non si sono ispirati ai templi pagani (esternamente maestosi, ma all’interno, dove si custodiva la statua della divinità, erano molto angusti), ma alle basiliche che erano allora gli edifici pubblici più spaziosi.