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pubblicato lunedì 19 febbraio 2018
Duomo di Pieve di Soligo, 7 febbraio 2018
Omelia di don Andrea Forest, delegato vescovile per la pastorale sociale
Letture: 1Re 10, 1-10; Sal 36; Mc 7, 14-23.
C’è un particolare curioso nella Prima Lettura che abbiamo ascoltato questa sera: la Regina di Saba, che rimane stupita di fronte alla sapienza di Salomone, offre molti doni in cambio. Quello che incuriosisce è proprio lo sgorgare quasi spontaneo dell’abbondanza dei doni offerti dalla Regina di fronte alla manifestazione di quella sapienza salomonica «dovuta al nome del Signore» (1Re 10, 1).
In effetti, ci sono molti modi di donare. C’è un modo di donare fatto per orgoglio, mettendo l’accento sul donatore, come ad esempio la beneficenza fatta solo per mettersi apposto la coscienza o come dimostrazione di bravura e virtuosità personale. Ma c’è anche – e più autenticamente – un modo di donare che ha a cuore l’altro più di sé stessi, il destinatario del dono più del donatore. È questo il dono vero, un dono che nasce dallo stupore per ciò che l’altro è, che nasce dalla sorprendente dignità e bellezza di colui che mi sta di fronte, riconosciuto come una “terra santa abitata da Dio”. Anche per noi, quindi, vale la domanda: ogni volta che mi faccio dono, per chi lo faccio?
Mi sembra che i doni offerti dalla Regina di Saba rispondano proprio a questa logica del dono autentico, un dono che nasce dallo stupore nel riconoscere in Salomone una persona abitata da Dio.
Sarà poi Gesù stesso a riprendere questo episodio nella sua predicazione (cfr. Lc 11, 29-32): «Ben più di Salomone c’è qui», dice riferendosi a sé stesso. La fede in Gesù che ci anima inizia proprio da questo stupore nel vedere Dio stesso, in Gesù, farsi dono per noi, perché ha a cuore noi, perché è affascinato da noi. E questo ci fa innamorare di lui. La fede diventa allora un intreccio di relazioni, di dono reciproco, un’“economia” di relazioni che parte dalla gratuità di uno stupore reciproco.
Ma stasera il nostro sguardo ricolmo di stupore si allarga ancora, soffermandosi sulla figura del beato Giuseppe Toniolo. Anche lui fu un “sapiente” del suo tempo. Non un sapientone: un sapiente. Un uomo che, come Salomone, si è fatto trasparenza di Dio, che ha lasciato trasparire il bene sgorgante nel suo cuore (il Vangelo ci parlava appunto del fatto che è nel cuore dell’uomo che hanno origine i desideri più profondi, quelli “impuri”, ma anche quelli più nobili e santi).
Una sapienza, quella di Giuseppe Toniolo, declinata in vari ambiti: nella ricerca scientifica come docente universitario, nell’ambito sociale e familiare, nella sua vita di credente, in particolare in seno all’Azione Cattolica.
Come la Regina di Saba, questa sera desideriamo stupirci anche noi. E vorremmo chiedere come frutto di questa Eucaristia una carità spontanea che sgorga dal cuore, una carità che ci aiuti a fare dono di noi stessi alla storia del nostro tempo, agli uomini e alle donne della realtà sociale in cui viviamo, a spenderci con tutte le risorse e le energie che abbiamo per continuare ad essere eco del Vangelo in un mondo sempre bisognoso di speranza, di giustizia, di pace.
Che cosa, dunque, stupisce dell’opera di Dio nel beato Giuseppe Toniolo?
È una personalità troppo variegata per sintetizzarla in qualche minuto di omelia. Evidenzio soltanto due aspetti che colpiscono me: uno che riguarda l’aspetto economico e uno che riguarda l’aspetto politico. Ovviamente poi ciascuno può integrare secondo la propria sensibilità gli aspetti del Toniolo che inevitabilmente non riuscirò a richiamare in modo esaustivo e completo.
Anzitutto, Giuseppe Toniolo era un uomo che ha abitato la sua epoca, ha compreso la modernità. Con un’immagine potremmo dire: è stato un uomo con “occhi al Cielo e piedi a terra”. Uno sguardo fisso in alto verso il suo Signore, verso i valori alti della famiglia, della cooperazione, della pace. Un “mistico”, potremmo arrischiarci di dire in questo senso. Ma altrettanto saldamente piantato con i piedi per terra, dentro il mondo del suo tempo. E, per questo, un “santo”: perché incarnato, quasi identificato, con la sua gente – i suoi concittadini, i suoi studenti, i suoi colleghi –. E per questo egli fu non insignificante, ma significativo e autorevole.
Oggi alcuni credono di riportare la Chiesa ad essere ancora significativa soltanto ribadendo i “valori di sempre”, magari arroccandosi nella rigidità di alcune posizioni eccessivamente intransigenti o fuori tempo. Ma quale santità può avere, quale stupore può esercitare una Chiesa che non abbia i piedi saldi a terra e la mani impastate di questa umanità?
Così anche per il tema del lavoro, sul quale stiamo riflettendo in questa XV Settimana Sociale diocesana. Non basta un generico richiamo alla dignità dei lavoratori fatto ex cathedra. Occorre abitare l’epoca del cambiamento che stiamo vivendo. Senza paure, perché lo sguardo rimane rivolto al Cielo. Lunedì sera eravamo in fabbrica a parlare di tecnologia e di innovazione, in industria 4.0: non possiamo restare ancorati a vecchi modelli, ma abbiamo l’obbligo di cercare nel nuovo che avanza la permanenza degli stessi valori che rendono il lavoro (e il mondo) più umano e più capace di fraternità. In questo senso abbiamo bisogno, come Chiesa, di valorizzare le “buone pratiche” di un lavoro già in atto che sia “libero, creativo, partecipativo, solidale”, come ci ha insegnato a fare la Settimana Sociale di Cagliari.
Un secondo aspetto vorrei sottolineare del beato Giuseppe Toniolo: la sua partecipazione in prima persona al bene comune, alla vita “politica” (in senso ampio) nella società del suo tempo. All’epoca egli dovette misurarsi con le restrizioni del Non expedit (Pio IX, 1874), a motivo delle quali i cristiani non potevano essere direttamente impegnati in politica.
Anche oggi c’è un altro Non expedit, molto più pericoloso perché più subdolo: è un Non expedit culturale che ci convince che “non conviene” mischiarsi con la politica. Non conviene perché è una scocciatura, perché sono tutti corrotti, perché non cambia mai niente, ecc. … e mettiamoci tutti i luoghi comuni che vogliamo. Quanti andranno a votare alle prossime elezioni? E quanti, fra quelli che andranno, voteranno con consapevolezza, avendo a cuore il bene comune e non solo gli interessi personali?
Toniolo nei suoi anni teorizzò e applicò l’impegno dei cristiani nel sociale e negli ambiti culturali per colmare la carenza sul piano politico. In lui la sapienza e la creatività evangeliche lo hanno aiutato a portare avanti un pensiero, fino all’ideazione e alla realizzazione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. E oggi? Anche oggi oportet (il contrario, in latino, del Non expedit) – è opportuno, è necessario – un nuovo impegno nel sociale e nella cultura, nella politica e negli ambiti civili da parte dei cristiani, da cristiani. Occorre riproporre un’etica civile di fronte a una società che rischia di disgregarsi perché con lo sguardo “troppo fisso a terra” e incapace di tornare a “guardare al Cielo”.
Questa è allora la nostra missione: missione non di qualche singolo virtuoso, ma di una Chiesa profetica. Qui e ora ci giochiamo la credibilità e la significatività.
Abbiamo perciò bisogno di chiedere a Dio, come Salomone, il dono della sapienza. Per abitare con piedi saldi a terra il presente e con occhi – saldi anche quelli – rivolti verso il Cielo. E tu, beato Giuseppe Toniolo, sostieni il nostro impegno, rianima la nostra fede, e dal Cielo prega per noi.