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pubblicato mercoledì 24 ottobre 2007
Tutto è partito con una serie di incontri che sarebbero culminati con un viaggio in una delle missioni della Diocesi. Le opzioni erano Brasile, Tchad, Colombia o Albania. Alla fine noi quattro ci siamo accordati per partire per il Tchad, accompagnati da don Adriano Belloto. Questo paese si trova a sud della Libia, in centro-Africa poco sopra l'equatore. L'impatto con la capitale N'Djamena ha sconvolto la nostra idea di città: ci aspettavamo strutture statali più curate e organizzate, invece gli edifici più funzionali apparivano essere le sedi di banche o di enti dell'ONU. Speravamo che almeno la capitale mostrasse segni di progresso, ma percorrendone le strade, quasi tutte sterrate e piene di buche, abbiamo constatato l'estrema povertà del Paese. Al contrario le condizioni di degrado delle altre città e villaggi che abbiamo visitato erano meno marcate.
La maggior parte del viaggio lo abbiamo passato a Sarh, città di 120 mila abitanti nel sud del Ciad. Lì eravamo ospiti dei nostri missionari don Carlo Maccari e don Egidio Menon presso il Foyer Seminaire. Molti sono stati gli incontri con altri missionari e con persone del luogo, con ragazzi e bambini. Siamo rimasti colpiti dall'accoglienza che ci veniva riservata: ogni volta che facevamo visita a una famiglia il padrone di casa faceva portare sedie, per farci accomodare nel proprio cortile offrendoci cibo e bevande. Malgrado la loro povertà, l'importanza dell'ospite li rende molto generosi. Non era raro tornare a casa con una capretta o una gallina in dono che ti schittava sulla mano dalla paura.
Ci spostavamo quasi sempre con un fuoristrada a causa delle strade disastrate dalla pioggia. Infatti la stagione delle piogge provocava fonde pozzanghere sui tragitti in terra battuta. Quando il tempo era bello potevamo viaggiare sul cassone del veicolo e osservare meglio la vita della gente, il lavoro nei campi di patate dolci, arachidi, mais, miglio e altro, le bancarelle improvvisate in cui si vendono i prodotti della terra, le umili abitazioni, costruite con mattoni di paglia e fango e tetti in paglia o, per i più fortunati, in lamiera. Sui banchetti lungo la strada si può trovare di tutto: sigarette, bottiglie di benzina, caramelle, medicinali e ricariche telefoniche. Infatti lì si usa dire che "non c'è l'acqua potabile ma c'è il telefono cellulare", una delle contraddizioni di cui siamo stati testimoni.
Alcuni pomeriggi li abbiamo passati a fare animazione con i bambini. Bambini che ci sono rimasti nel cuore, con i loro sorrisi e saluti festosi; quando sentivano il rumore del fuoristrada correvano fuori dalle case per salutare noi stranieri, gridando gioiosi "laleo, nazara!", cioè "ciao, bianchi!".
Tra le tappe del nostro viaggio c'è stata anche Mongo nell'est del Ciad, luogo in cui è stato sepolto don Tarcisio Bertacco, anch'esso missionario della nostra Diocesi, che negli ultimi anni operava ad Am-Timan, in una zona in cui i Cristiani sono solo una piccola parte della popolazione. A Mongo abbiamo trovato un ambiente diverso, più secco e meno rigoglioso, e anche le persone, in maggioranza arabi, ci sono apparse più chiuse. Lì eravamo ospitati da padre Franco Martellozzo, che come i missionari incontrati a Sarh ci ha aiutati a comprendere la realtà del posto.
Verso un viaggio del genere si parte con molte domande, anche se spesso al ritorno non si portano risposte, ma nuove domande. Ciò che abbiamo visto non si può definire "terzo mondo"; sarebbe una definizione che implica un ordine in base ai nostri standard. Noi diremmo piuttosto un mondo diverso, con un degrado sociale e strutturale nascosti a fatica, ma allo stesso tempo ricco di una semplicità rivoluzionaria, che ci permette ora di valutare un po' meglio le cose per il loro giusto peso. Nei volti della gente non abbiamo mai notato tristezza, noia, rabbia, stress, ma era la serenità a farla da padrona.
Laleo, nazara!
Daniela, Andrea, Fabian e Mirco di Estate con...